INAMMISSIBILE L'INTEGRAZIONE POSTUMA (IN FASE CONTENZIOSA) DELLA MOTIVAZIONE RIPORTATA NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO – Nota di commento alla sentenza della CTP di Lecce, sez. 1, n. 16/20 depositata il 02 gennaio 2020.

Sommario: 1. Premessa. 2. Fattispecie; 3. La soluzione dei giudici della C.T.P. di Lecce; 4. Considerazioni Conclusive.

1. Premessa.
La sentenza in commento, pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, sez, 1, n. 16/20 e depositata il 2 gennaio 2020, si è espressa in tema di motivazione dell'avviso di accertamento ribadendo un principio ormai consolidato anche dalla giurisprudenza di legittimità, il quale dispone l'inammissibilità dell'integrazione postuma della motivazione in fase contenziosa.

2. Fattispecie.
Il Sig. D. A., in proprio ed qualità di legale rappresentante della società "C.R. S.r.l.," ricorreva avverso l'avviso di liquidazione e rettifica con il quale l'Agenzia delle Entrate rideterminava il maggior valore rispetto a quello dichiarato dalle parti, in relazione all'atto avente ad oggetto i beni trasferiti dalla medesima società allo stesso ricorrente in qualità di socio.
In seno al ricorso veniva eccepita, tra gli altri motivi, la carenza di motivazione dell'avviso di accertamento con riguardo alla violazione dell'art. 1, commi 115 – 120 della L. 208/2015 e all'illegittima applicazione degli artt. 51 e 52 D.P.R. 131/1986, in quanto l'Ufficio aveva erroneamente qualificato come "compravendita di fabbricato" l'oggetto dell'atto notarile, il quale invece aveva ad oggetto la "cessione di beni a socio a titolo di datio in solutum", che comportava applicazione della speciale normativa di cui all'art. 1, commi da 115 a 120, legge n. 208/2015.
Tale disposizione, infatti, prevedeva la possibilità di esercitare una apposita opzione di determinazione della base imponibile ai fini IRAP, assumendo un valore diverso da quello venale in comune commercio risultante dal combinato disposto dagli artt. 51 e 52 TUIR.
Ebbene, solo in seno alle controdeduzioni depositate in giudizio, l'Ufficio esplicitava le ragioni che avevano giustificato la negazione della natura del contratto come indicata dalle parti (cessione di beni a socio a titolo di datio in solutum) e per l'effetto delle quali il medesimo atto veniva qualificato dall'Agenzia delle Entrate come compravendita di immobili il cui valore, pertanto, era suscettibile di rettifica con riferimento a quello venale in comune commercio risultante dal combinato disposto degli artt. 51 e 52 tuir.
Parte ricorrente, nelle memorie illustrative, eccepiva la illegittima rappresentazione da parte dell'Ufficio – eccepita per la prima volta in sede di costituzione – delle ragioni ostative all'applicazione della Legge 208/2015.

3. La soluzione dei giudici di merito.
I giudici di merito si sono pronunciati sulla questione della motivazione, così stabilendo: "(...) solo in sede di controdeduzioni l'Ufficio ha esplicitato le ragioni di negazione della natura del contratto quale indicata dalle parti nell'atto e, per l'effetto, di qualificazione dello stesso di atto di compravendita di immobile il cui valore, pertanto, era ed è suscettibile di rettifica con riferimento a quello venale in comune commercio risultante dal combinato disposto degli artt. 51 e 52 TUR. A questo punto è di tutta evidenza che, come eccepito da parte ricorrente in sede di memorie illustrative, il contenuto delle controdeduzioni formulate dall'Ufficio in sede di costituzione nel presente giudizio (laddove ha indicato per la prima volta le ragioni della ritenuta inapplicabilità al caso di specie del regime agevolato di cui ai commi 115-120 dell'art. 1 Legge 28.12.2015 n. 208) sustanzia una inammissibile integrazione, rilevante e fondante il recupero, della motivazione della rettifica (ex multis Cass., ord. 08.02.2019 n. 3762, sentt. n. 21.05.2018 n. 12400, 31.01.2018 n. 2382)."

4. Considerazioni conclusive.
I giudici di merito hanno confermato, pertanto, l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale sancito anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, richiamato in svariate pronunce di legittimità tra cui, per l'appunto, la sentenza n. 2382 del 31/01/2018, con cui è stato stabilito che l'estensione della motivazione dell'atto impositivo in sede contenziosa viola l'art. 7, co. 1 della L. n. 212 del 2002.
Altresì, con sentenza n. 12400, del 21/05/2018, la Corte di Cassazione, richiamando i precedenti giurisprudenziali contenuti nelle ordinanze n. 10972/17 e 26541/08, ha stabilito che l'eterointegrazione giudiziale di un atto impositivo lacunoso è contrario ai principi generali vigenti in materia.
Più recente, invece, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, n. 3762 del 08/02/2019 , con cui è stato ribadito che la motivazione dell'avviso di accertamento non può essere "integrata" in giudizio dall'Amministrazione finanziaria. Tanto in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass. Sez. 6-5, 21.5.2018, n. 12400 e Cass. n. 648519-01).
Alla luce di quanto esposto, in forza dell'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, è auspicabile un approccio dell'Amministrazione Finanziaria volto a non ampliare i motivi dell'atto impositivo in sede contenziosa e decisamente più rispettoso del disposto normativo di cui all'art. 7, co.1 dello statuto del contribuente.
D'altro canto, come ha avuto modo di chiarire la Suprema Corte di Cassazione nelle sentenze sopracitate, la natura impugnatoria del processo tributario impedisce, in ogni caso, l'integrazione delle motivazioni dell'atto impositivo nella fase contenziosa.
Lecce, 17/06/2020 Avv. Maria Leo