Perdita su crediti: quale comportamento adottare per la deducibilità?

Capita spesso che una società debba procedere alla cancellazione dal bilancio dei propri crediti commerciali nel momento in cui questi non sono più recuperabili, rilevando così una perdita su crediti. In proposito la Corte di Cassazione ha tracciato un importante distinguo ai fini del trattamento fiscale della perdita su crediti, a seconda che derivi da una rinuncia (unilaterale) al credito o da una transazione (col cliente/debitore) offrendo così spunti interessanti in merito al comportamento da adottare ai fini della deducibilità.

Quando una società procede alla cancellazione dal bilancio dei propri crediti commerciali in quanto non più recuperabili, rileva una perdita su crediti.

Ai sensi dell'art. 101, comma 5, TUIR, le perdite su crediti sono deducibili:

- "in ogni caso", se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali e istituti assimilati. Ciò per le garanzie, sul piano della certezza dell’insolvibilità e sul piano della precisione dell’entità delle perdite, che tali procedure riescono a dare. Si evidenzia che ai fini IVA non è sufficiente l’assoggettamento (ovvero, ad esempio, dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento) ma l’infruttuosità delle stesse.
Il decreto Sostegni bis (D.L. n. 73/2021), tuttavia, al fine di adeguare la disciplina interna a quella comunitaria, ha riformulato il comma 2 dell’art. 26, D.P.R.. n. 633/1972 e ha inserito il comma 3-bis il quale prevede che la variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta si applica anche in caso di mancato pagamento totale o parziale del corrispettivo da parte del cessionario/committente a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a procedura concorsuale.

Sulla base di tale disposizione (da confermare in sede di conversione in legge del decreto), dunque, il cedente/prestatore può effettuare la variazione in diminuzione de qua sin dall’apertura della procedura, senza doverne attendere la conclusione. L’applicazione di detta novella è, tuttavia, limitata ai casi in cui l’assoggettamento alle procedure concorsuali avvenga successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (ossia dopo il 26 maggio 2021); Ai fini IRAP la perdita su crediti è indeducibile;

- se risultano da elementi certi e precisi (se il debitore non è assoggettato a procedure concorsuali). Questi elementi devono attestare la definitività della perdita che è rinvenibile allorché si possa escludere l'eventualità che in futuro il creditore riesca a realizzare, in tutto o in parte, la partita creditoria. Nella ipotesi di (improbabile) recupero del credito si andrà a rilevare una sopravvenienza attiva.
Ciò in linea con quanto previsto, in ambito bilancistico, nel paragrafo 13 del principio contabile OIC 15 ove si dà atto del fatto che la perdita su crediti è componente di reddito che trae origine da un evento certo e definitivo, che rende il credito non più recuperabile. In tutti gli altri casi, l’onere di dimostrare la certezza e la precisione della perdita incombe, in via ordinaria, in capo al contribuente creditore che intende dedurla.

Requisiti e criteri per la deducibilità delle perdite sui crediti

A tal proposito, con l’ordinanza n. 743 del 19 gennaio 2021, la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire l’orientamento, ormai consolidato in sede di legittimità, che chiarisce quale siano i requisiti e i criteri di natura probatoria ai fini della deducibilità delle perdite sui crediti. La vicenda posta all’attenzione della Suprema Corte trae origine dal ricorso proposto da una società avverso un avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate, in relazione all'anno d'imposta 2005, aveva contestato, tra l’altro, l'indeducibilità, per difetto dei requisiti di certezza e precisione, di perdite su crediti. La Commissione tributaria regionale, adita dalla società, ne aveva rigettato l’appello affermando che la stessa aveva tenuto un comportamento che non poteva legittimare la deduzione della perdita dal reddito d'impresa. Tanto poiché si era solo limitata a inoltrare richieste scritte alla debitrice, ritenendo inopportuno l'esercizio di azioni legali volte al recupero del credito. La società, dunque, a questo punto ricorreva per cassazione censurando la sentenza, in primis, nella parte in cui i giudici di merito hanno ritenuto che gli elementi certi e precisi della perdita non potessero ricavarsi dal comportamento dalla stessa tenuto.

A tal proposito la Suprema Corte, richiamando proprie precedenti pronunce, ha affermato che:

a) al fine di ritenere deducibili le perdite su crediti quali componenti negative del reddito d'impresa, non è necessario: - che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell'insolvenza del debitore; - verificare i motivi della perdita, atteso che per il legislatore è necessario, ma anche sufficiente, che la perdita sia certa e precisa, ossia effettiva e determinata;

b) la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita perché il legislatore ha riguardo solo all’oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa.

L'imprenditore, infatti, in base a "considerazioni di strategia generale", può legittimamente compiere "operazioni di per sé stesse antieconomiche in vista ed in funzione di benefici economici su altri fronti";

c) qualora, tuttavia, si tratti di perdita derivante da rinuncia al credito occorre che l'atto unilaterale di rinuncia sia giustificato da una effettiva irrecuperabilità del credito, poiché, diversamente, rientrerebbe negli atti di liberalità, indeducibili ai fini fiscali. Infatti, se il creditore rimane inerte non possono ritenersi esistenti elementi certi per configurare una perdita fiscalmente rilevante, tenuto conto che il fatto costitutivo del diritto alla deducibilità della perdita riguarda sia l'an, ossia il verificarsi della perdita dovuta all'inesigibilità del credito, sia il quantum, ossia l'entità della perdita.

Nel caso posto all’attenzione della Suprema Corte, invece, la società contribuente aveva scelto di rinunciare unilateralmente al credito vantato nei confronti della società debitrice a fronte del rifiuto da questa espresso (peraltro giunto nell’anno successivo a quello di deduzione e perciò ritenuto anche privo della competenza), adducendo a giustificazione di tale comportamento che il rapporto di dipendenza economica che la legava alla debitrice rendeva inopportuno l'esercizio di una azione giudiziaria finalizzata al recupero del credito, non fornendo in tal modo prova alcuna che la rinuncia trovasse concreta giustificazione nella effettiva irrecuperabilità dello stesso. Il comportamento tenuto dalla contribuente, dunque, per la Cassazione, non può giustificare la deduzione fiscale della perdita dal reddito d'impresa.

I comportamenti da adottare

La Corte di Cassazione traccia un importante distinguo ai fini del trattamento fiscale della perdita su crediti a seconda che derivi: - da rinuncia (unilaterale) al credito ovvero - da transazione (col cliente/debitore), offrendo così spunti interessanti in merito al comportamento da adottare.

Rinuncia al credito

Nel caso di rinuncia al credito è richiesta la prova dell’irrecuperabilità dello stesso (che può derivare anche dalla relazione di un legale), anche se la rinuncia deriva da una ponderata analisi e sia giustificata da valide ragioni economiche.

Transazione con il debitore

Nel caso di perdita su crediti riveniente da accordo transattivo, il creditore può rinunciare al credito (assumendo così un comportamento antieconomico) in vista di futuri benefici economici concertati col debitore (si ricorda che la transazione è il contratto con il quale le parti si fanno reciproche concessioni al fine di evitare il sorgere di una lite o per porvi fine).

Per dirla in altri termini, in presenza di crediti in sofferenza è opportuno fornire la prova di avere fatto il possibile (ovviamente in relazione anche al quantum) per recuperare il credito e, qualora il rapporto col debitore lo consenta, si consiglia di stipulare un accordo transattivo nel quale si dà atto che la rinuncia (parziale o totale) al credito, di per sé antieconomica, è legata a possibili benefici economici, anche solo futuri, che potrebbero derivare dal rapporto commerciale tra le parti (ovviamente può giovare dare atto anche della situazione di indisponibilità finanziaria del debitore).

Avv. Leonardo Leo

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