Articolo pubblicato su IPSOA quotidiano del 28 agosto 2020 al seguente Link: https://www.ipsoa.it/documents/fisco/imposte-dirette/quotidiano/2020/08…
Al fine di adeguarsi alla normativa comunitaria in tema di appalti, il decreto Semplificazioni (sul quale la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha iniziato a votare gli emendamenti), ha modificato il Codice dei contratti pubblici concedendo alle stazioni appaltanti la facoltà di escludere l'operatore economico che non ha ottemperato al pagamento di debiti tributari e contributivi “non definitivamente accertati”. Tuttavia, tale ultimo inciso, mera ideazione del legislatore italiano, conferisce alla norma un senso non conforme alla ratio comunitaria, che richiama esclusivamente gli obblighi di pagamento di imposte e contributi, ovvero quelli gravanti sull'operatore prima della presentazione della domanda di partecipazione.
Dal 17 luglio 2020 è in vigore il decreto Semplificazioni (D.L. n. 76 del 16 luglio 2020) che, con l’art. 8, comma 5, lettera b), ha apportato significative modifiche all’art. 80, comma 4, del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), dedicato ai motivi di esclusione dalle procedure d’appalto.
La modifica in parola, invero, ripropone (con l’ulteriore novità delle “gravi violazioni”) quella già in precedenza contenuta nel decreto Sblocca Cantieri (D.L. n. 32/2019), sulla quale vi era poi stato un ripensamento in sede di conversione in legge n. 55 del 14 giugno 2019.
Si tratta, in particolare, della facoltà concessa alla stazione appaltante, di escludere l’operatore economico dalla partecipazione alla procedura d’appalto, qualora detta stazione sia a conoscenza e possa dimostrare che tale soggetto “non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati”.
È però necessario che si tratti di una grave violazione, ovvero:
- sia superiore a 5.000 euro;
- sia ostativa al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) o delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali.
La novella si aggiunge a quanto era, ed è ancora previsto (art. 80, comma 4, primo periodo, D.Lgs. n. 50/2016) in merito all’obbligo di esclusione dalla procedura d’appalto dell’operatore economico che abbia commesso gravi violazioni, definitivamente accertate.
Ebbene, in entrambe le ipotesi (obbligo o facoltà di esclusione), a norma del sesto periodo del medesimo comma, l’esclusione non opera se prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande, l’operatore economico paghi o si impegni a pagare in modo vincolante le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe ovvero se il debito tributario o previdenziale è integralmente estinto (secondo TAR Lazio, Sez. II, 9 novembre 2017, n. 11173, la mera presentazione dell’istanza di rateizzazione non comporta l’automatico recupero della posizione di regolarità fiscale).
L’adeguamento della normativa italiana a quella comunitaria
Con tale intervento il legislatore italiano ha inteso adeguarsi a quanto disposto dalla normativa comunitaria, la cui violazione era stata già soggetta a una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea.
Il riferimento è alla costituzione in mora - Infrazione n. 2018/22723 del 24 gennaio 2019, con cui si contestava la non conformità dell’art. 80, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016, alle disposizioni dell’art. 38, par. 5, comma 2, della direttiva n. 2014/23/UE (in materia di aggiudicazione di contratti di concessione) e dell’art. 57, paragrafo 2, comma 2, della direttiva n. 2014/24/UE (in materia di appalti pubblici).
Con più attenzione, l’art. 57, paragrafo 2, citato testualmente prevede: [..] inoltre, le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere o possono essere obbligate dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione a una procedura d’appalto un operatore economico se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con qualunque mezzo adeguato che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali.
Quindi, il legislatore comunitario concede la facoltà di esclusione dell’operatore economico nel caso in cui la stazione appaltante possa dimostrare che vi sia il mancato adempimento degli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali, a prescindere dalla definitività di una decisione giudiziaria o amministrativa.
Profili di criticità e coordinamento con altre disposizioni nazionali
La modifica introdotta dal legislatore italiano, a parere di chi scrive, si pone, tuttavia, su una linea diversa rispetto alle norme contenute nelle direttive comunitarie, atteso che il comma 4 dell’art. 80, D.Lgs. n. 50/2016 introduce, sebbene ciò non fosse previsto dal legislatore europeo, il riferimento agli obblighi “non definitivamente accertati”.
A ben vedere, infatti, l’introduzione di tale inciso apre la porta a una interpretazione della norma certamente non conforme (per non dire totalmente difforme) rispetto alla lettera e alla ratio che il legislatore comunitario ha inteso attribuire alla stessa, ove invece si fa esclusivo riferimento “all'operatore economico che non ha ottemperato agli obblighi”.
La norma potrebbe portare all'esclusione dell'operatore economico per il solo fatto di non aver ottemperato al pagamento di debiti fiscali e contributivi richiesti con l' “originario” avviso di accertamento, anche non definitivo, e in assenza di qualsivoglia obbligo di pagamento.
Cioè, si prescinderebbe dall’eventuale sussistenza di giudizi pendenti e/o dall’esito processuale contenuto nei provvedimenti giudiziali intervenuti in relazione al medesimo atto.
Ma, senza dubbio, non è questa la finalità che il legislatore europeo ha inteso perseguire con le proprie direttive. Infatti, il legislatore comunitario limita la facoltà di esclusione solo nei confronti degli operatori economici che non abbiano ottemperato agli obblighi su di essi gravanti nel momento antecedente alla presentazione della domanda di partecipazione alla gara d’appalto.
Obblighi che indubbiamente scaturiscono dal debito non definitivamente accertato (c.d. debito potenziale), ma che non necessariamente coincidono con quanto richiesto nell'avviso di accertamento.
Per fare un esempio
Basti pensare al caso in cui l’operatore economico abbia impugnato l’avviso di accertamento. L’importo al quale sarebbe obbligato “a titolo provvisorio” corrisponde solo a 1/3 delle imposte ex art. 15, D.P.R. n. 602/1973.
Così, nel caso di sentenze di merito favorevoli, l’operatore economico non sarebbe obbligato a pagare alcunché.
Sulla base di tale ratio, infatti, anche la lettura del sesto periodo dell’art. 80, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016, acquisirebbe un senso diverso. Come già detto, infatti, l’attuale sesto periodo esclude l’applicabilità del predetto comma qualora l’operatore economico provveda o si impegni in modo vincolante al pagamento di quanto dovuto.
Facendo leva sempre sul concetto di “operatore economico che non ha ottemperato agli obblighi”, anche in questo caso si dovrebbe ritenere sufficiente, ai fini della non applicabilità del comma 4, il pagamento di quanto dovuto a seconda dei gradi di giudizio e delle pronunce già intervenute.
In altri termini, sarebbe corretto differenziare le situazioni a seconda dei casi, ad esempio:
- nel caso di giudizio di primo grado pendente, si dovrebbe provvedere al pagamento ex art. 15 ovvero per 1/3 delle sole imposte;
- nel caso di giudizio di secondo grado o di Cassazione pendente, si dovrebbe provvedere al pagamento ex art. 68, D.Lgs. n. 546/1992.
Ciò, ovviamente, mantenendo salvi gli effetti di eventuali provvedimenti di sospensione giudiziale dell’avviso di accertamento o della sentenza, eventualmente disposti dal giudice. Nel qual caso, nulla sarebbe dovuto.
In conclusione
Evidenziate le criticità della novella contenuta nell’art. 80, comma 4, D.Lgs. n. 50/2016, sarebbe auspicabile che in sede di conversione in legge, il legislatore espunga dalla disposizione l’inciso “non definitivamente accertati”, sì da consentire una lettura conforme a quanto disposto dal legislatore comunitario.
Se ciò non dovesse avvenire, infatti, è evidente che le problematiche susseguenti potrebbero essere svariate e di rilievo in quanto, di fatto, aumenterebbero i contenziosi amministrativi (le stazioni appaltanti potrebbero aderire alla interpretazione per loro più “prudente” e così fare riferimento al “debito originario”).
A quel punto, quindi, verrebbe demandato il potere decisionale al giudice (TAR) il quale, a parere di chi scrive, dovrebbe solo rilevare (ad eccezione di parte) la non conformità della disposizione interna con quella comunitaria, disapplicando la prima a favore dell’ultima, senza neppure necessità di porre questioni di incostituzionalità o di attendere che il legislatore nazionale sciolga tale conflitto.
Si ricorda, infatti, che le direttive UE sono fonti del diritto vincolanti per gli Stati membri relativamente agli obiettivi da conseguire (che nel caso di specie risultano, persino, essere stati trasfigurati).
Invero, la non conformità della norma nazionale rispetto al quella comunitaria dovrebbe essere risolta sulla scorta del principio di preferenza, ai sensi di quanto sancito dall’art. 10 della Convenzione Europea, secondo cui il diritto dell’Unione europea ha prevalenza sul diritto degli Stati membri. Per cui, in presenza di una legge nazionale che contrasti con una norma comunitaria il giudice ordinario dovrebbe disapplicare la legge nazionale nel caso specifico e applicare il diritto dell’Unione.
Avv. Leonardo Leo